La nostra cultura ci ha abituate/i a dividere il mondo, l’universo, i suoi eventi in coppie di polarità in perenne scontro tra loro. Femminile/maschile, bianco/nero, luce/buio, natura/cultura, positivo/negativo, corpo/spirito, ecc…
Uno dei due termini della coppia è percepito come “migliore”, mentre il corrispondente è una sorta di “nemico”, qualcosa di visto comunque come “meno desiderabile”.
Anche nella percezione di noi stesse/i e nella narrazione delle nostre identità vale questa suddivisione. Abbiamo imparato a identificarci e incasellarci in genere in solo uno dei due termini delle coppie: quelli che percepiamo come “migliori” (pensiamo ai significati di “luce” contrapposti a quelli di “buio”, con tutta la portata di giudizio legato alla dicotomia “bene/male”) o a quelli che la cultura ci attribuisce (ad esempio maschile come polarità solare, positiva, forte, razionale, attiva VS femminile come polarità lunare, negativa, debole, intuitiva, passiva).
Il continuo scambio relazionale tra i due termini delle polarità dovrebbe rappresentare l’energia che mantiene l’universo e la stessa esistenza in continuo dinamico movimento. Ma abbiamo proiettato in questa relazione una metafora bellica. Questa categorizzazione si nutre di esclusione e logica duale oppositiva: se non è una cosa, è il suo contrario. A questa forma di pensiero corrisponde l’allegoria dell’uccisione del drago, come sconfitta della parte della polarità che consideriamo sgradita/negativa –nel senso di malvagia.
E’ questo l’unico sistema di pensiero e percezione del mondo possibile?
Che accadrebbe se, invece che come una guerra, la relazione tra i due termini delle polarità fosse considerata una danza? Come un incontro erotico? E quindi se il motore dell’universo diventasse l’amore e non lo scontro, come cambierebbe la nostra visione delle cose e soprattutto, come cambierebbe la percezione di noi stesse/i? Come narreremmo le nostre identità? Come racconteremmo le nostre storie?
Allora si potrebbe scoprire che serve il buio per avere la luce, che occorre discendere per poter ascendere, che senza il corpo l’anima non può progredire nel suo viaggio… Sarebbe forse chiaro che nessun membro della coppia può esistere senza l’altro e forse l’ossessione attuale per l’(idealizzata) identificazione del buono (sé) contro il cattivo (altro da sé) si sgretolerebbe per lasciare gradualmente spazio alla cura del concetto di “equilibrio” che è rappresentato dal labirinto.
Ed è allora che può essere possibile accettare che occorra perdersi per ritrovarsi.
Non è più necessario uccidere il drago, piuttosto si potrebbe guardarlo con nuovi occhi, diventarne alleate/i e cavalcarci assieme. Ciascuna/o di noi non sarebbe più una “metà di qualcosa”, bensì un intero, uno specchio dell’universo e dei suoi cicli infiniti. Un “intero” che è diverso da un altro “intero” per il tipo di danza che esegue ma non più per la parte di cui sarebbe mancante.
Abbiamo oggi il coraggio di guardare alla nostra interezza?
Progetto creato per il collettivo #codicerosso, Trento. Teatro Sociale, 8/3/2017; Pergine Spettacolo Aperto, 10/7/2017